"Moreover, you scorned our people, and compared the Albanese to sheep, and according to your custom think of us with insults. Nor have you shown yourself to have any knowledge of my race. Our elders were Epirotes, where this Pirro came from, whose force could scarcely support the Romans. This Pirro, who Taranto and many other places of Italy held back with armies. I do not have to speak for the Epiroti. They are very much stronger men than your Tarantini, a species of wet men who are born only to fish. If you want to say that Albania is part of Macedonia I would concede that a lot more of our ancestors were nobles who went as far as India under Alexander the Great and defeated all those peoples with incredible difficulty. From those men come these who you called sheep. But the nature of things is not changed. Why do your men run away in the faces of sheep?"
Letter from Skanderbeg to the Prince of Taranto ▬ Skanderbeg, October 31 1460
Luigi Luca Cavalli-Sforza: UNA STORIA MULTIDISCIPLINARE!
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Geni contro il razzismo
Un pregiudizio tuttora diffuso, ma privo di basi scientifiche: l'avevano già dimostrato Julian Huxley e Alfredo Addome nel l935
Uno studio basato sulla teoria dell'evoluzione poi confermato dalla biologia molecolare
Alla fine dell'Ottocento il mondo era dominato da popolazioni di origine europea, che avevano creato vasti imperi coloniali e controllavano l'economia dell'intero pianeta. Solo dopo la Seconda guerra mondiale la situazione avrebbe cominciato a mutare, ma molto lentamente. La superiorità tecnologica e militare dell'Occidente aveva favorito la convinzione che i popoli di origine europea (quindi di pelle bianca) fossero intrinsecamente superiori alle altre popolazioni della Terra, più avanzati, più potenti, più civili, destinati a dominare il mondo. E una convinzione di cui talvolta risuona ancor oggi. un'eco nelle parole di alcuni politici, ma solo dei più ignoranti.
Al principio del secolo scorso, negli Stati Uniti si promulgano leggi volte a impedire l'integrazione razziale. Fra il 1896 e il 1915, i matrimoni fra bianchi e neri vengono vietati in 28 Stati dell'Unione. I sostenitori dell'eugenica, cioè di politiche volte al 'miglioramento della razza' si organizzano in un movimento di rilevante consistenza, che nel 1924 porterà all'adozione di leggi che limitano severamente l'integrazione di individui non di "razza nordica". Fra gli esclusi sarà la "razza mediterranea" (che comprende, fra gli altri, noi italiani). Nel decennio successivo, il razzismo eugenico, privo di qualunque fondamento scientifico, è costretto alla ritirata negli Stati Uniti, ma la sterilizzazione forzata di persone che presentano "difetti" considerati ereditari proseguirà per decenni, e le leggi che vietano i matrimoni interazziali sono dichiarate anticostituzionali solo nel 1967. Oltreoceano, il nazismo al potere decreta la sterilizzazione forzata, e procede all'eliminazione fisica dei portatori di handicap fisici e mentali, uno sterminio che si estenderà presto a tutti gli appartenenti a "razze inferiori", a ebrei e zingari.
In Italia le "leggi razziali" sono approvate nel 1938. Se negli Stati Uniti e in Germania sono state considerazioni pseudoscientifiche e convinzioni ideologiche a promuovere queste leggi razziste, il
caso italiano è diverso: si tratta del vile calcolo politico di un dittatore obnubilato, che di li à poco guiderà il Paese al disastro. In Italia, le leggi del '38 determineranno la persecuzione e lo smembramento di migliaia di famiglie, la deportazione di decine di migliaia di individui nei lager nazisti, la fuga all'estero di molti dei nostri cervelli migliori.
Questi erano i tempi. Ma si trattava semplicemente di una falsa ideologia, non di conoscenze scientifiche arretrate. Ce lo dimostra un bel libro di Julian Huxley e Alfred Haddon, «Noi europei un'indagine sul "problema razziale"», comparso a Londra nel 1935 e ora in edizione italiana presso Edizioni di Comunità, a cura di Claudio Pogliano.
Già in apertura di libro, gli autori distinguono fra il concetto di razza e il concetto di nazione, precisando come le caratteristiche socioculturali di un popolo siano tutt'altra cosa dalle sue caratteristiche etniche. Lavorando sui dati disponibili allora e con strumenti d'indagine molto limitati rispetto a quelli sviluppati in seguito, Huxley e Haddon giungono a conclusioni straordinariamente simili a quelle odierne.
L'analisi delle differenze somatiche fra i diversi tipi umani rivela una certa discontinuità fra regione e regione del mondo. Cambiano i tratti fisici, il colore della pelle, l'altezza, la forma della faccia e la corporatura. Ma questi aspetti della nostra costituzione biologica si riferiscono solo alla superficie del corpo. La quasi totalità delle nostre caratteristiche biologiche è nascosta, si tratta di caratteri ereditari che non si rivelano all'occhio dell'osservatore. Analizzando il sistema di gruppi sanguigni A-B-0 (in sostanza l'unico carattere genetico che si poteva studiare quando il libro fu scritto), le differenze fra i gruppi umani stanziati in diverse regioni del mondo appaiono assai più continue e graduali.
Gli autori concludono, correttamente, che non vi è base alcuna per parlare di distinzioni in razze - e meno ancora in sottospecie - per la specie umana, come facciamo per i cani e i cavalli e per molte altre specie. I tratti esterni del corpo, quelli che mostrano maggiore variazione, sono direttamente soggetti all'influenza dell'ambiente e in particolare del clima dell'area in cui una popolazione vive, per cui cambiano in tempi brevi sulla scala evolutiva. Per quanto riguarda i caratteri nascosti - quelli che contano davvero nel farci essere ciò che siamo - la variazione fra un popolo e un altro è ben poco superiore alla variazione che si riscontra all'interno di uno stesso popolo.
Quello che Huxley e Haddon non potevano sapere, perché solo negli ultimi decenni lo si è potuto dimostrare con sicurezza, grazie alla genetica molecolare e ai progressi della paleontologia e dell'archeologia, è che la ragione per cui la specie umana è cosi poco differenziata al suo interno rispetto alle altre specie viventi è semplicemente che si tratta di una specie molto giovane. Siamo distribuiti sull'intero pianeta, ma la migrazione che ha portato Homo sapiens sapiens a occupare i continenti è avvenuta solo nelle ultime decine di migliaia di anni, non nelle ultime decine di milioni. Non c'è stato il tempo per differenziarsi in razze o specie distinte.
La variabilità genetica è dovuta alla mutazione, un fenomeno spontaneo e abbastanza raro che si verifica a ogni generazione e fa si che i geni dei figli non siano una copia perfettamente identica
di quelli dei loro genitori. A volte la mutazione fornisce un figlio di una caratteristica particolarmente vantaggiosa rispetto all'ambiente in cui vive, che dà a chi ne è munito maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi rispetto a chi ne è sprovvisto, così che il numero dei suoi discendenti tende ad aumentare nell'arco delle generazioni. Questa è la selezione naturale. Mutazione e selezione naturale sono due pilastri della teoria dell'evoluzione. La mutazione genera cambiamento, la selezione fa sì che le mutazioni vantaggiose si diffondano nello spazio e nel tempo.
La variabilità genetica interna a una specie è la sua migliore garanzia di sopravvivenza. In Europa, ad esempio, le grandi epidemie di peste hanno ucciso anche i 2/3 della popolazione in certe regioni. Gli altri però sono sopravvissuti, talora grazie a qualche migliore difesa genetica. Lo stesso fenomeno si sta verificando oggi in Africa e in parte dell'Asia con l'epidemia di Aids.
Ci sono altri due fattori che contribuiscono a creare variabilita, la migrazione e la deriva genetica. La migrazione rimescola le carte (cioè i geni), per via dello scambio genetico tra immigranti e nativi, e tende quindi a rendere le popolazioni più omogenee. La deriva genetica è invece la fluttuazione casuale della frequenza dei geni da una generazione a un'altra. Nel corso della storia umana vi sono stati numerosi episodi che hanno drasticamente ridotto di numero gli esseri umani. In Europa, ad esempio, i gruppi sopravvissuti all'ultima, glaciazione, fra i 25.000 e i 13.000 anni fa, dovevano essere di dimensioni molto ridotte. Ogni volta che si verifica una strozzatura demografica, solo i geni dei sopravvissuti vengono passati alle generazioni successive. Quando un piccolo gruppo migra altrove, però, può creare una popolazione un po' diversa.
E interessante confrontare le conclusioni di Huxley e Haddon sui Popoli europei con lo stato delle conoscenze di oggi. Gli autori non hanno introdotto gli effetti della deriva genetica, che già era stata studiata nella teoria matematica dell'evoluzione sviluppata negli anni Venti. Ma la sua importanza non era ancora stata capita, e solo l'avvento del computer avrebbe permesso di sviluppare la potenza di calcolo necessaria per applicare le formule teoriche ai dati.
Huxley e Raddon accettano la distinzione, proposta dall'antropologia fisica, in tre gruppi etnici europei (rifiutando esplicitamente il termine "razze'): Mediterranei, Nordici ed Eurasiatici (questi ultimi estesi dalla Francia centrale alla Russia). Aggiungono due gruppi noti solo attraverso la ricerca archeologica: i cercatori di metalli distribuiti lungo le coste mediterranee e atlantiche e il cosiddetto "popolo del bicchiere".
La descrizione odierna delle caratteristiche genetiche delle popolazioni europee non se ne discosta molto. Ferma restando l'estrema similarità si nota una leggera differenziazione fra 4 gruppi: il grosso delle nazioni del Centro Europa; un gruppo di tre nazioni mediterranee di lingua romanza (Italia, Spagna e Portogallo); un gruppo di due nazioni di lingua slava (Russia e Polonia) e l'Ungheria (che parla una lingua di altra origine). Questi tre gruppi ricordano da vicino i tre proposti, da Huxley e Haddon. Il quarto comprende Scozia, Galles e Irlanda, di radice celtica. A questi si aggiungono alcuni "isolati" etnici e linguistici, come i baschi, i sardi, gli islandesi, i lapponi, i finnici, i greci e gli jugoslavi. Per ciascuno di questi gruppi si possono rilevare le tracce di antiche emigrazioni che hanno favorito una marcata deriva genetica.
La grande fortuna dei popoli dell'Occidente negli ultimi secoli ha tutt'altra spiegazione che una presunta superiorità biologica. In un saggio pubblicato pochi anni orsono («Armi, acciaio e malattie», Einaudi), il fisiologo ed ecologo Jared Diamond ne individua convincentemente le ragioni in una concatenazione di fattori di natura squisitamente ecologica. Al tempo stesso, è importante rendersi conto che questa supremazia è anch'essa temporanea: già il secolo in cui siamo entrati vedrà nuovi protagonisti imporsi sulla scena mondiale.
All'ascesa di ogni impero ha fatto seguito, in pochi secoli, il suo declino. Il predominio occidentale dal Cinquecento in poi è stato largamente costruito sullo sfruttamento delle risorse umane, agricole e minerarie del resto del pianeta. I migranti che a milioni oggi traversano la Terra per bussare alle porte dei Paesi ricchi vengono anche a recuperare parte di quanto è stato loro sottratto. E da come sapremo, o non sapremo, promuovere uno sviluppo ragionevole su scala globale, che si potrà misurare il valore effettivo della nostra civiltà e la probabilità della sua sopravvivenza.
Uno studio basato sulla teoria dell'evoluzione poi confermato dalla biologia molecolare
Alla fine dell'Ottocento il mondo era dominato da popolazioni di origine europea, che avevano creato vasti imperi coloniali e controllavano l'economia dell'intero pianeta. Solo dopo la Seconda guerra mondiale la situazione avrebbe cominciato a mutare, ma molto lentamente. La superiorità tecnologica e militare dell'Occidente aveva favorito la convinzione che i popoli di origine europea (quindi di pelle bianca) fossero intrinsecamente superiori alle altre popolazioni della Terra, più avanzati, più potenti, più civili, destinati a dominare il mondo. E una convinzione di cui talvolta risuona ancor oggi. un'eco nelle parole di alcuni politici, ma solo dei più ignoranti.
Al principio del secolo scorso, negli Stati Uniti si promulgano leggi volte a impedire l'integrazione razziale. Fra il 1896 e il 1915, i matrimoni fra bianchi e neri vengono vietati in 28 Stati dell'Unione. I sostenitori dell'eugenica, cioè di politiche volte al 'miglioramento della razza' si organizzano in un movimento di rilevante consistenza, che nel 1924 porterà all'adozione di leggi che limitano severamente l'integrazione di individui non di "razza nordica". Fra gli esclusi sarà la "razza mediterranea" (che comprende, fra gli altri, noi italiani). Nel decennio successivo, il razzismo eugenico, privo di qualunque fondamento scientifico, è costretto alla ritirata negli Stati Uniti, ma la sterilizzazione forzata di persone che presentano "difetti" considerati ereditari proseguirà per decenni, e le leggi che vietano i matrimoni interazziali sono dichiarate anticostituzionali solo nel 1967. Oltreoceano, il nazismo al potere decreta la sterilizzazione forzata, e procede all'eliminazione fisica dei portatori di handicap fisici e mentali, uno sterminio che si estenderà presto a tutti gli appartenenti a "razze inferiori", a ebrei e zingari.
In Italia le "leggi razziali" sono approvate nel 1938. Se negli Stati Uniti e in Germania sono state considerazioni pseudoscientifiche e convinzioni ideologiche a promuovere queste leggi razziste, il
caso italiano è diverso: si tratta del vile calcolo politico di un dittatore obnubilato, che di li à poco guiderà il Paese al disastro. In Italia, le leggi del '38 determineranno la persecuzione e lo smembramento di migliaia di famiglie, la deportazione di decine di migliaia di individui nei lager nazisti, la fuga all'estero di molti dei nostri cervelli migliori.
Questi erano i tempi. Ma si trattava semplicemente di una falsa ideologia, non di conoscenze scientifiche arretrate. Ce lo dimostra un bel libro di Julian Huxley e Alfred Haddon, «Noi europei un'indagine sul "problema razziale"», comparso a Londra nel 1935 e ora in edizione italiana presso Edizioni di Comunità, a cura di Claudio Pogliano.
Già in apertura di libro, gli autori distinguono fra il concetto di razza e il concetto di nazione, precisando come le caratteristiche socioculturali di un popolo siano tutt'altra cosa dalle sue caratteristiche etniche. Lavorando sui dati disponibili allora e con strumenti d'indagine molto limitati rispetto a quelli sviluppati in seguito, Huxley e Haddon giungono a conclusioni straordinariamente simili a quelle odierne.
L'analisi delle differenze somatiche fra i diversi tipi umani rivela una certa discontinuità fra regione e regione del mondo. Cambiano i tratti fisici, il colore della pelle, l'altezza, la forma della faccia e la corporatura. Ma questi aspetti della nostra costituzione biologica si riferiscono solo alla superficie del corpo. La quasi totalità delle nostre caratteristiche biologiche è nascosta, si tratta di caratteri ereditari che non si rivelano all'occhio dell'osservatore. Analizzando il sistema di gruppi sanguigni A-B-0 (in sostanza l'unico carattere genetico che si poteva studiare quando il libro fu scritto), le differenze fra i gruppi umani stanziati in diverse regioni del mondo appaiono assai più continue e graduali.
Gli autori concludono, correttamente, che non vi è base alcuna per parlare di distinzioni in razze - e meno ancora in sottospecie - per la specie umana, come facciamo per i cani e i cavalli e per molte altre specie. I tratti esterni del corpo, quelli che mostrano maggiore variazione, sono direttamente soggetti all'influenza dell'ambiente e in particolare del clima dell'area in cui una popolazione vive, per cui cambiano in tempi brevi sulla scala evolutiva. Per quanto riguarda i caratteri nascosti - quelli che contano davvero nel farci essere ciò che siamo - la variazione fra un popolo e un altro è ben poco superiore alla variazione che si riscontra all'interno di uno stesso popolo.
Quello che Huxley e Haddon non potevano sapere, perché solo negli ultimi decenni lo si è potuto dimostrare con sicurezza, grazie alla genetica molecolare e ai progressi della paleontologia e dell'archeologia, è che la ragione per cui la specie umana è cosi poco differenziata al suo interno rispetto alle altre specie viventi è semplicemente che si tratta di una specie molto giovane. Siamo distribuiti sull'intero pianeta, ma la migrazione che ha portato Homo sapiens sapiens a occupare i continenti è avvenuta solo nelle ultime decine di migliaia di anni, non nelle ultime decine di milioni. Non c'è stato il tempo per differenziarsi in razze o specie distinte.
La variabilità genetica è dovuta alla mutazione, un fenomeno spontaneo e abbastanza raro che si verifica a ogni generazione e fa si che i geni dei figli non siano una copia perfettamente identica
di quelli dei loro genitori. A volte la mutazione fornisce un figlio di una caratteristica particolarmente vantaggiosa rispetto all'ambiente in cui vive, che dà a chi ne è munito maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi rispetto a chi ne è sprovvisto, così che il numero dei suoi discendenti tende ad aumentare nell'arco delle generazioni. Questa è la selezione naturale. Mutazione e selezione naturale sono due pilastri della teoria dell'evoluzione. La mutazione genera cambiamento, la selezione fa sì che le mutazioni vantaggiose si diffondano nello spazio e nel tempo.
La variabilità genetica interna a una specie è la sua migliore garanzia di sopravvivenza. In Europa, ad esempio, le grandi epidemie di peste hanno ucciso anche i 2/3 della popolazione in certe regioni. Gli altri però sono sopravvissuti, talora grazie a qualche migliore difesa genetica. Lo stesso fenomeno si sta verificando oggi in Africa e in parte dell'Asia con l'epidemia di Aids.
Ci sono altri due fattori che contribuiscono a creare variabilita, la migrazione e la deriva genetica. La migrazione rimescola le carte (cioè i geni), per via dello scambio genetico tra immigranti e nativi, e tende quindi a rendere le popolazioni più omogenee. La deriva genetica è invece la fluttuazione casuale della frequenza dei geni da una generazione a un'altra. Nel corso della storia umana vi sono stati numerosi episodi che hanno drasticamente ridotto di numero gli esseri umani. In Europa, ad esempio, i gruppi sopravvissuti all'ultima, glaciazione, fra i 25.000 e i 13.000 anni fa, dovevano essere di dimensioni molto ridotte. Ogni volta che si verifica una strozzatura demografica, solo i geni dei sopravvissuti vengono passati alle generazioni successive. Quando un piccolo gruppo migra altrove, però, può creare una popolazione un po' diversa.
E interessante confrontare le conclusioni di Huxley e Haddon sui Popoli europei con lo stato delle conoscenze di oggi. Gli autori non hanno introdotto gli effetti della deriva genetica, che già era stata studiata nella teoria matematica dell'evoluzione sviluppata negli anni Venti. Ma la sua importanza non era ancora stata capita, e solo l'avvento del computer avrebbe permesso di sviluppare la potenza di calcolo necessaria per applicare le formule teoriche ai dati.
Huxley e Raddon accettano la distinzione, proposta dall'antropologia fisica, in tre gruppi etnici europei (rifiutando esplicitamente il termine "razze'): Mediterranei, Nordici ed Eurasiatici (questi ultimi estesi dalla Francia centrale alla Russia). Aggiungono due gruppi noti solo attraverso la ricerca archeologica: i cercatori di metalli distribuiti lungo le coste mediterranee e atlantiche e il cosiddetto "popolo del bicchiere".
La descrizione odierna delle caratteristiche genetiche delle popolazioni europee non se ne discosta molto. Ferma restando l'estrema similarità si nota una leggera differenziazione fra 4 gruppi: il grosso delle nazioni del Centro Europa; un gruppo di tre nazioni mediterranee di lingua romanza (Italia, Spagna e Portogallo); un gruppo di due nazioni di lingua slava (Russia e Polonia) e l'Ungheria (che parla una lingua di altra origine). Questi tre gruppi ricordano da vicino i tre proposti, da Huxley e Haddon. Il quarto comprende Scozia, Galles e Irlanda, di radice celtica. A questi si aggiungono alcuni "isolati" etnici e linguistici, come i baschi, i sardi, gli islandesi, i lapponi, i finnici, i greci e gli jugoslavi. Per ciascuno di questi gruppi si possono rilevare le tracce di antiche emigrazioni che hanno favorito una marcata deriva genetica.
La grande fortuna dei popoli dell'Occidente negli ultimi secoli ha tutt'altra spiegazione che una presunta superiorità biologica. In un saggio pubblicato pochi anni orsono («Armi, acciaio e malattie», Einaudi), il fisiologo ed ecologo Jared Diamond ne individua convincentemente le ragioni in una concatenazione di fattori di natura squisitamente ecologica. Al tempo stesso, è importante rendersi conto che questa supremazia è anch'essa temporanea: già il secolo in cui siamo entrati vedrà nuovi protagonisti imporsi sulla scena mondiale.
All'ascesa di ogni impero ha fatto seguito, in pochi secoli, il suo declino. Il predominio occidentale dal Cinquecento in poi è stato largamente costruito sullo sfruttamento delle risorse umane, agricole e minerarie del resto del pianeta. I migranti che a milioni oggi traversano la Terra per bussare alle porte dei Paesi ricchi vengono anche a recuperare parte di quanto è stato loro sottratto. E da come sapremo, o non sapremo, promuovere uno sviluppo ragionevole su scala globale, che si potrà misurare il valore effettivo della nostra civiltà e la probabilità della sua sopravvivenza.
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